Risarcimento Danno per Malasanità: Guida Completa

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Il paziente che subisce un danno alla salute causato da condotte medico-sanitarie censurabili (cioè da negligenza e/o imperizia e/o imprudenza), ha diritto a denunciare il suo caso di malasanità e ad ottenere un equo risarcimento del danno.

Detto risarcimento consiste in una somma di denaro che ha una funzione riparatoria non solo del danno alla salute ma anche degli eventuali ulteriori danni ad esso collegati, come il danno morale, il danno esistenziale ed il danno patrimoniale.

Di seguito proponiamo una guida esaustiva per capire quando è possibile ottenere il risarcimento del danno causato da malasanità e quale sia la procedura migliore per ottenerlo.

Siamo sicuri che al termine della lettura ti saranno molto più chiari i principali concetti su cui si basa la procedura finalizzata ad ottenere  giustizia. Buona lettura.

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Denunciare un caso di malasanità

La persona che rimanga vittima di malasanità, si trova spesso sola con il proprio dolore e la propria frustrazione, che spesso non possono essere compresi pienamente nemmeno dagli amici e dai parenti più stretti. L’esigenza di denunciare il proprio episodio di malasanità risponde, pertanto, oltre che alla ovvia esigenza di ottenere giustizia, anche a quella di far comprendere il proprio dramma e sfuggire alla solitudine in cui, nostro malgrado, ci si è ritrovati. Ma come denunciare la malasanità? Di seguito indicheremo cosa non fare e cosa fare.

Cosa non fare

Sicuramente non è consigliabile che il danneggiato ed i suoi parenti si rechino dai Carabinieri a fare una denuncia-querela o un esposto. In tal caso, infatti, verrebbe avviato un procedimento penale finalizzato esclusivamente a comminare una pena al medico o ai medici e si andrebbe incontro, in circa il 95% dei casi, al deposito di una relazione sfavorevole da parte del consulente medico del Pubblico Ministero o del Giudice, con conseguente ad una archiviazione del caso o  assoluzione del medico.

La predetta relazione sfavorevole potrebbe essere utilizzata contro il danneggiato nel procedimento civilistico finalizzato all’ottenimento del risarcimento.

Denunciare l'ospedale

Bisogna aggiungere che, essendo la responsabilità penale di tipo personale, non sarebbe possibile denunciare l’ospedale, che è un’articolazione di un’ente o di una società di capitali e non una persona fisica.

Cosa fare

In caso di presunta malasanità è bene rivolgersi, innanzitutto, a degli specialisti del settore al fine di far analizzare la documentazione sanitaria e capire se siano presenti i presupposti per l’ottenimento del risarcimento.

Causa contro l'ospedale

In caso di verifica dei presupposti, inoltre, è fondamentale fare causa contro l’ospedale e non anche contro medici.

La struttura sanitaria risponde integralmente per l'operato dei propri medici. Questi ultimi, invece in base alla normativa che disciplina le controversie in tema di malasanità (Legge n. 24 del 2017), non potranno essere condannati a risarcire il danno alla vittima.

Potranno, eventualmente, essere tenuti a risarcire il danno alla struttura sanitaria che abbia già versato il risarcimento alla vittima e limitatamente al caso in cui sia stata accertata una loro colpa grave.

Inoltre, è importante osservare che la L. n. 24/2017 ha reso più difficile per il danneggiato provare la colpa del medico. Anche per tale motivo è consigliabile limitarsi a fare causa contro l'ospedale.

A chi rivolgersi per l’analisi preliminare del caso

Se sospetti di essere stato vittima di malasanità, è bene rivolgersi, innanzitutto, al professionista che successivamente all’individuazione dei presupposti possa prestare una adeguata assistenza legale al cliente allo scopo dell’ottenimento del risarcimento.

Tale professionista è l’avvocato, al quale la legge attribuisce una competenza esclusiva per:

  • tutte le attività di assistenza del danneggiato che si svolgano nell’ambito del processo (attività giudiziali)
  • tutte le attività di assistenza legale al di fuori del processo (attività stragiudiziali) che vengano svolte in modo continuativo, sistematico ed organizzato o che siano finalizzate all’attività giudiziale.

Appare ragionevole, infatti, che il soggetto che dovrà assistere il cliente nelle varie fasi dell'azione giudiziale - cioè l'avvocato - diriga il caso sin dal principio.

L’ avvocato dovrà disporre di uno staff di medici fiduciari (soprattutto medici specialisti), che potrà analizzare la documentazione del danneggiato e capire se vi sia un collegamento tra eventuali errori medico-sanitari ed in danni occorsi al paziente medesimo.

Per capire come scegliere il giusto avvocato per un caso di malasanità ti invitiamo a leggere il nostro articolo: Avvocato Malasanità: 9 Consigli Per Scegliere Quello Giusto.

L’analisi preliminare: ricerca dei presupposti del risarcimento

Per capire se siano presenti i presupposti per il risarcimento, l’avvocato dovrà avvalersi, come accennato sopra, di uno staff di medici composto non solo da un medico legale ma anche e soprattutto da medici specialisti appartenenti alle branche della medicina coinvolte nella vicenda da analizzare.

Solo i medici specialisti ultimi hanno le competenze necessarie per capire vi sia un collegamento causale tra le condotte dei sanitari presso cui il paziente era in cura ed i danni a lui occorsi.

L’avvocato, al fine di far analizzare il caso ai propri consulenti medici, dovrà farsi consegnare dal cliente una serie di documenti, tra cui non dovranno mancare i seguenti:

  • cronistoria scritta della vicenda
  • cartelle cliniche
  • referti di visite mediche specialistiche
  • immagini di eventuali esami per immagini come TAC, Risonanza magnetica ecc. e relativi referti

L’avvocato potrebbe anche chiedere al cliente, per capire quale sia la sua condizione di salute attuale, di sottoporsi ad alcuni esami diagnostici o di effettuare alcune visite mediche con lo scopo di ottenere ulteriore documentazione sanitaria.

Nel caso in cui i consulenti medici dell’avvocato individuino sufficienti presupposti per l’ottenimento del risarcimento, il cliente potrà scegliere di:

  • dare allo studio legale un incarico scritto e
  • sottoscrivere il patto sul compenso da versare (a fine pratica) all’avvocato.

Ma quali sono i presupposti indispensabili al risarcimento?

Il diritto al risarcimento richiede la contemporanea presenza dei seguenti tre presupposti:

1) Rispetto del limite di tempo

Il primo presupposto da verificare, nei caso di risarcimento del danno, è il fatto che non siano scaduti i limiti di tempo concessi dalla legge al danneggiato per poter effettuare la richiesta di risarcimento. Tale verifica viene fatta direttamente dall’avvocato. I limiti di tempo da non superare sono i seguenti:

  • 10 anni: se la richiesta è rivolta alla struttura sanitaria o ad un medico libero professionista
  • 5 anni: se la richiesta è rivolta ad uno o più medici dipendenti di una struttura sanitaria o 10 anni (ipotesi sconsigliata)

Ma da quale data si iniziano a calcolare i limiti di tempo?

E’ importante sapere che il tempo di prescrizione si inizia a calcolare dalla data in cui il paziente sia venuto a conoscenza della diagnosi che indichi il danno alla salute subito a causa di negligenza. Tale data spesso è successiva rispetto alla data in cui il danno si è verificato.

2) Danno alla salute

Il danno alla salute è la compromissione dell’integrità psicofisica suscettibile di accertamento medico-legale, idonea ad incidere negativamente sullo svolgimento di una o più attività della vittima. Questa definizione, originata nella giurisprudenza, è stata adottata dal legislatore sin dalla legge n. 57 del 2001 (oggi abrogata, e trasfusa negli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni) (Marco Rossetti, Il Danno alla Salute, CEDAM 2017, pp. 197 -203).

3) Condotta medico-sanitaria errata

La risarcibilità del danno subito dal paziente è condizionata all’ulteriore requisito dell’ingiustizia del danno. E’ necessario, cioè, che il danno sia stato causato da una condotta medico-sanitaria di tipo colposo, cioè contraria a regole di  perizia, prudenza e diligenza.

La condotta medica può dirsi colposa quando contravviene alle leges artis della medicina, cioè a quell’insieme di regole di condotta ricavabili dalla letteratura medica maggiormente accreditata.

Collegamento tra condotta medica e danno (nesso causale)

Un’ulteriore presupposto del diritto al risarcimento è il nesso di causalità tra la condotta illecita altrui ed il danno. Nei casi di malasanità, in particolare, è necessario che vi sia un collegamento tra una condotta medico-sanitaria di tipo colposo ed il danno subito dal paziente.

Non si ha diritto al risarcimento del danno, pertanto, in caso di condotta medica illecita non collegabile al danno, che, per esempio potrebbe essere stato causato da una condizione di salute preesistente.

E’ quindi possibile che si verifichino casi in cui la malasanità è solo apparente, in cui, cioè, esiste una condotta medica erronea che, tuttavia, non è la causa del danno del paziente, che è da attribuire ad diversi fattori.

Il nesso causale va accertato, normalmente, secondo il criterio del “più probabile che non”. Non è necessario, pertanto, che vi sia la certezza assoluta del collegamento ma solo che il collegamento stesso sia ipotizzabile con una probabilità di almeno il 51%.

Vi sono, peraltro, casi in cui nessuno dei fattori che possono aver contribuito alla realizzazione del danno raggiunge un efficacia causale del 51%. In tal caso il nesso causale potrà dirsi comunque presente se la colpa medica abbia contribuito con una percentuale maggiore rispetto a quella degli altri fattori.

Analisi preliminare: quantificazione dei danni

Durante l’analisi preliminare sarà indispensabile anche procedere ad una quantificazione del danno per capire quale potrebbe essere l'importo di risarcimento per malasanità ottenibile dal cliente.

I criteri di quantificazione sono diversi a seconda del tipo di danno (danno alla salute o danno per morte del parente o danno per spese o perdita di guadagno, danno morale, danno esistenziale ecc.). Di seguito si illustreranno brevemente i diversi criteri di calcolo dei principali tipi di danno.

Quantificazione del danno alla salute

La quantificazione del danno alla salute, detto anche danno biologico, deve tener conto della presenza o meno di problematiche di salute già presenti nel paziente prima della condotta medica erronea. Bisogna quindi distinguere tra:

  • paziente senza problemi di salute preesistenti: si incrocia, su apposite tabelle, la percentuale di inabilità corrispondente al danno patito con l’età della vittima (aspetativa di vita).
  • paziente con problemi di salute preesistenti: si quantificano economicamente la condizione attuale del paziente; la condizione preesistente all’aggravamento; si effettua l’operazione (valore della condizione attuale) – (valore della condizione preesistente).

Quantificazione del danno da morte del parente

L’importo si calcola, attraverso apposite tabelle, sulla base del legame affettivo tra la vittima ed il parente superstite, ricavabile dai seguenti fattori: 1) età della vittima, 2) età del parente superstite, 3) grado di parentela; 4) eventuale convivenza con la vittima, 5) eventuale presenza di familiari conviventi

 Quantificazione del danno esistenziale

Il danno esistenziale è la modificazione in peggio della quotidianità della vittima. I giudici di solito quantificano tale danno come una percentuale del danno alla salute o del danno morale, che mediamente si aggira intorno al 25-30%.

Quantificazione del danno morale

Può essere ottenuto quando la lesione fisica subita è superiore ai 2/3 punti di invalidità. Ha una valenza autonoma rispetto al danno biologico e al danno esistenziale (danno alla vita di relazione) e, di conseguenza, va liquidato a parte (Cfr. Corte di Cassazione - III sez. civ. - ordinanza n. 20795 del 20-08-2018)

Per maggiori informazioni sui criteri di quantificazione del danno biologico ti invitiamo a leggere il nostro articolo “Calcolo del Risarcimento per Malasanità

L’invio della richiesta di risarcimento e la conciliazione

Una volta definita la migliore linea d'azione, sarà inviata all’ospedale una lettera di diffida in cui si illustreranno sinteticamente i danni subiti dal paziente, le condotte medico-sanitarie ad essi collegate e si chiederà di risarcire il danno entro un determinato arco temporale.

Il soggetto destinatario della richiesta non ha limiti di tempo per rispondere alla richiesta di risarcimento, né è obbligato a rispondere. Tuttavia, entro un periodo medio di un mese dall’invio della richiesta, viene generalmente ottenuta una risposta.

Tale risposta potrà contenere l’indicazione della disponibilità a far analizzare il caso e visitare il paziente da propri medici fiduciari in vista di una eventuale conciliazione o il rigetto della richiesta. La prima di tali ipotesi è quella che si verifica più di frequente.

Di solito, è nell'interesse di tutte le parti della controversia giungere ad un accordo prima di andare in tribunale.

Non sempre, tuttavia, sono presenti i presupposti per conciliare.

La possibilità di conciliazione, in particolare, è pressoché nulla nel caso in cui la struttura sanitaria del servizio Sanitario Nazionale si trovi in “autoassicurazione” (priva di un’assicurazione privata). In tal caso, l’amministratore della struttura tenderà a non versare somme alla vittima o ai suoi familiari prima dell’ottenimento di una sentenza che lo obblighi ad eseguire il versamento stesso.

L’accertamento tecnico preventivo

Nel caso in cui non si riesca ad effettuare una conciliazione prima della causa, è buona norma non instaurare immediatamente una procedura giudiziale volta ad ottenere una sentenza. Appare prudente, infatti, procedere dapprima con una procedura detta “Consulenza tecnica preventiva”.

Si tratta di una procedura finalizzata ad effettuare una conciliazione sulla base dell’espletamento di una analisi della vicenda da parte di un consulente tecnico incaricato dal giudice. Tale consulente sarà incaricato di studiare la documentazione medica del caso ed a redigere una relazione tecnica nella quale rispondere ai quesiti postigli dal giudice circa l’esistenza di un danno alla salute e di una condotta medica censurabile responsabile del danno stesso.

La procedura prevede anche che il consulente tenti la conciliazione delle parti. Tuttavia, come sanno bene gli studi legali che hanno una certa esperienza in malasanità, è raro che si riesca a fare una conciliazione all’esito dell’accertamento tecnico preventivo. La funzione principale della procedura sarà, pertanto, quella di realizzare la condizione di procedibilità del successivo procedimento giudiziale prevista (alternativamente al procedimento di mediazione) dalla Legge n. 24 del 2017. La procedura consentirà anche di capire cosa ne pensi il consulente del giudice della vicenda medica da lui analizzata.

Nel caso in cui la relazione del consulente del giudice non individui una responsabilità alla controparte, è ragionevole non proseguire con altre azioni giudiziali.

Nel caso, invece, in cui essa attribuisca la responsabilità alla controparte, la relazione ottenuta potrà essere utilizzata come prova piena o argomento di prova in un successivo procedimento (sommario o ordinario) volto ad ottenere una sentenza.

La causa alla struttura sanitaria

Nei casi di malasanità avvenuti all'interno di una struttura sanitaria conviene fare causa all'ospedale. Non è invece conveniente, come si è accennato sopra, fare causa ai medici. Ma quando e come deve essere fatta la causa?

La Legge n. 24/2017 (Legge Gelli) stabilisce che entro 90 giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del semestre decorrente dalla data del deposito del ricorso per consulenza tecnica preventiva, l’eventuale procedimento volto ad ottenere una sentenza dovrà essere proposto in forma di procedimento sommario.

Si tratta di un procedimento in cui, all’esito della prima udienza, il giudice decide se proseguire con un procedimento snello o se sia necessario, in relazione ai mezzi di prova richiesti, mutare il procedimento nel rito ordinario, caratterizzato da una istruzione probatoria meticolosa e quindi lunga. In ciascuno di tali casi, la relazione depositata dal consulente del giudice nel precedente procedimento di accertamento tecnico preventivo potrà essere utilizzato come prova piena del proprio diritto.

E’ importante osservare che i predetti termini previsti dal legislatore, come previsto già prima dell’entrata in vigore della legge, si sono rivelati insufficienti a consentire al consulente del giudice di analizzare la pratica e di redigere la relazione.

Il più delle volte, pertanto, il giudizio volto ad ottenere la sentenza dovrà essere instaurato dopo la scadenza dei termini, con la conseguenza che la relazione ottenuta all’esito del procedimento di CTP potrà essere usata come argomento di prova e non come prova piena.

Al temine del procedimento sommario o ordinario, nel caso di sentenza favorevole, la controparte sarà obbligata per legge a versare alla vittima il risarcimento di tutti i danni indicati e quantificati dal giudice oltre gli interessi legali calcolati dalla verificazione del danno sino al versamento del risarcimento.

Avvocato per risarcimento malasanità

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