Un caso di malasanità a Roma: risarcimento danni da responsabilità medica accertata in sentenza.

Importante vittoria dello Studio in merito ad una vicenda clinica di malasanità a Roma.

Lo Studio Legale Stefano Gallo ha conseguito un importante successo a seguito di un giudizio in sede civile riferito ad un caso accertato di malasanità a Roma.

Il caso riguardava il decesso di una paziente avvenuto a qualche giorno di distanza da un intervento chirurgico di resezione segmentaria del colon al quale una donna era stata sottoposta a seguito della diagnosi di malattia diverticolare del colon.

La signora (che per ovvi motivi di riservatezza chiameremo Maria) dopo l’intervento sviluppava una gravissima condizione di setticemia (cagionata dal cedimento della sutura della zona operata), colpevolmente non diagnosticata durante la degenza post-operatoria, da cui conseguiva, purtroppo, il decesso della paziente.

Alla luce dei fatti, il marito ed i due figli della defunta si sono rivolti al nostro Studio per tutelare i propri diritti e richiedere il risarcimento dei danni patiti a causa del decesso della loro congiunta. Con l’assistenza dell’Avvocato Stefano Gallo è stata avviata una causa davanti al Tribunale di Roma a seguito della quale il Giudice ha confermato pienamente la tesi dello Studio, riconoscendo la sussistenza di responsabilità in capo alla struttura sanitaria convenuta, condannandola conseguentemente a risarcire ai parenti della vittima un importo di oltre 560.000,00 euro (oltre spese ed interessi legali).

Riportiamo di seguito la sintesi della vicenda medico-legale.

Sintesi della storia clinica

La vicenda di seguito descritta riguarda purtroppo un caso di decesso avvenuto a seguito di un intervento chirurgico di resezione segmentaria del colon.

La sig.ra Maria (nome di fantasia) si ricoverava nel novembre del 2013 presso una struttura sanitaria privata di Roma ove, a seguito della diagnosi tramite TC di malattia diverticolare del colon, veniva immediatamente sottoposta ad intervento chirurgico di “resezione segmentaria del colon sigmoideo con confezionamento di anastomosi termino-terminale”.

Trascorsi i primi giorni di ricovero post-operatorio senza  particolari problematiche, all’ottavo giorno dall’intervento la paziente manifestava “dolore tipo colica in ipogastrio e fossa ileale” con marcato rialzo della temperatura corporea (stato febbrile). Nonostante il peggioramento della condizioni di salute, la struttura sanitaria disponeva le dimissioni della sig.ra Maria in nona giornata.

Il giorno seguente alle dimissioni la signora Maria era costretta a recarsi al Pronto Soccorso di una diversa struttura ospedaliera ove veniva sottoposta ad un intervento chirurgico d’urgenza durante il quale si riscontrava la presenza di una “deiscenza dell’anastomosi colo-rettale interessante i ¾ della circonferenza”.

L’intervento d’urgenza purtroppo non riusciva ad arrestare la sindrome da insufficienza multiorgano in atto con successivo shock cardiogeno terminale che esitava nel decesso della paziente.

Il procedimento di A.T.P. (art.696-bis c.p.c.)

I familiari della defunta si rivolgevano quindi all’Avv. Stefano Gallo per valutare se nella vicenda riguardante la propria congiunta vi fossero responsabilità a carico della struttura sanitaria ove era stato eseguito l’intervento di “resezione segmentaria del colon sigmoideo con confezionamento di anastomosi termino-terminale”.

Dopo l’analisi della documentazione medica e la redazione di un’apposita perizia da parte del consulente medico-specialista, emergeva l’evidentissima responsabilità della struttura sanitaria privata per aver sottoposto la paziente ad intervento chirurgico di resezione segmentaria del colon in assenza di specifica ed univoca indicazione, per non aver fornito alla signora Maria un’informazione completa (carenza di consenso informato) e per non aver diagnosticato e trattato durante la degenza post-operatoria la lesione procuratale nell’intervento predetto.

Fallito il tentativo di risoluzione stragiudiziale della vicenda, lo Studio depositava presso il Tribunale di Roma ricorso per accertamento tecnico preventivo, ai sensi dell’art.696-bis c.p.c., richiedendo la nomina di un Collegio CTU finalizzato alla definizione delle responsabilità nella vicenda ed al tentativo di conciliazione.

Il Collegio peritale concordava pienamente con la ricostruzione dei fatti così come ricostruita dal nostro Studio in quanto, accertava la sussistenza di colpa professionale a carico dei sanitari della struttura ove la sig.ra Maria venne operata e riconosceva la conseguente responsabilità per il decesso della medesima.

In particolare, i Consulenti del Giudice verificarono che:

  1. non era stata formulata né la diagnosi di sepsi né il sospetto diagnostico di una complicanza post-operatoria;
  2. il consenso informato era incompleto in quanto non prospettava alcuna alternativa terapeutica rispetto alla resezione chirurgica del colon;
  3. i rischi connessi all’intervento chirurgico erano sicuramente di gran lunga superiori a quelli connessi ad una eventuale terapia medica conservativa;
  4. la gestione clinica della fase post-operatoria non venne eseguita in conformità alle metodiche medico-chirurgiche stabilite dalla prassi e dalla scienza medica.
  5. le dimissioni della paziente in 8° giornata post-operatoria furono inappropriate ed intempestive in quanto venne sottovalutata la sintomatologia che poteva facilmente indicare la comparsa di una complicanza infettiva che doveva essere indagata prima delle dimissioni.

Il giudizio di merito

Nonostante il riconoscimento da parte dei CC.TT.UU. della responsabilità in capo ai sanitari, si rendeva necessario proseguire con il giudizio di merito incardinato ai sensi dell’art.702-bis c.p.c.

I ricorrenti domandavano quindi al Giudice di voler accertare che il decesso della sig.ra Maria fosse dipeso dalle condotte mediche censurabili dei sanitari della struttura convenuta, così come era stato accertato a seguito del giudizio di ATP.

In particolare, i profili di responsabilità a titolo contrattuale (ai sensi degli artt. 1218 e ss. c.c.) della struttura sanitaria erano individuabili:

  1. nell’aver deciso di sottoporre la paziente ad intervento chirurgico senza una specifica ed univoca indicazione in tal senso;
  2. nell’aver violato i diritti connessi al consenso informato della paziente;
  3. nel non aver diagnosticato e, conseguentemente adeguatamente trattato, l’infezione da sepsi manifestatasi durante la degenza post-operatoria.

Ricordiamo infatti che, per consolidato orientamento giurisprudenziale (oggi ancor di più avvalorato a seguito dell’entrata in vigore della c.d. Legge Gelli-Bianco), le strutture sanitarie private quanto al regime della responsabilità civile sono totalmente parificate alle pubbliche, in quanto le possibili violazioni degli obblighi a loro carico nei confronti dei pazienti incidono sul bene della salute (diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione), “senza possibilità di limitazioni di responsabilità o differenze risarcitorie a seconda della diversa natura, pubblica o privata, della struttura sanitaria” (Cassazione sentenza n. 4058/2005).

Conseguentemente, si chiedeva il risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dai familiari della defunta, in proprio ed in qualità di eredi della medesima, tra i quali anche il danno da perdita del rapporto parentale.

L’esito del processo e la condanna al risarcimento danni per malasanità

All’esito del processo, il Tribunale di Roma, riconoscendo completezza ed esaustività la consulenza tecnica espletata in sede di ATP, accertava, in particolare, che:

  1. la causa della morte della sig.ra Maria era da rinvenirsi nello shock settico terminale cagionato dalla “deiscenza anastomotica” della sutura colica verificatasi nel corso del ricovero post-operatorio successivo all’intervento di resezione del colon;
  2. i sanitari dimisero la paziente senza aver indagato in merito alla comparsa del dolore addominale e della febbre (presente anche all mattino stesso delle dimissioni);
  3. secondo il criterio “del più probabile che nonsi sarebbe potuta evitare il decesso della paziente qualora fosse stata tempestivamente diagnostica la sepsi in corso;
  4. alla luce della diagnosi di malattia diverticolare era censurabile, sia la scelta di procedere con un intervento chirurgico (trattandosi infatti di “diverticolite non complicata” non era indicato l’intervento chirurgico di resezione del colon) sia, soprattutto, per aver dimesso la paziente in presenza di condizioni di salute evidentemente sintomatiche di preoccupanti problematiche post-operatorie.

Conseguentemente, il Giudice condannava la struttura sanitaria convenuta al risarcimento in favore dei figli della defunta sig.ra Maria, anche quali eredi del padre purtroppo deceduto nelle more dei procedimenti, dei seguenti importi:

  • € 141.558,31 in favore dei figli della sig.ra Maria, in qualità di eredi del padre da ripartire pro quota ereditaria, per il danno patito da quest’ultimo.
  • € 212.337,02 in favore del primo figlio per danno da perdita del rapporto parentale con la propria madre;
  • € 212.337,02 in favore del secondo figlio per danno da perdita del rapporto parentale con la propria madre.

Oltre alla refusione delle spese processuali e degli onorari sostenuti dai familiari per il giudizio di ATP e per il giudizio di merito.

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