Nel Rapporto Osservasalute 2018, il paragrafo “Sopravvivenza e mortalità per causa” riporta: “In Italia, il numero delle morti sepsi-correlate (casi in cui la sepsi è presente tra la multimorbosità riportata sul certificato di morte) è cresciuto considerevolmente negli ultimi anni passando da 18.668 del 2003 a 49.301 del 2016.”
Incremento della mortalità rispetto al passato
Cosa fare per ridurre la mortalità?
In relazione alle considerazioni ed ai dati statistici sopra richiamati, l’obiettivo dovrebbe essere quello di migliorare il sistema sanitario nel suo complesso con riferimento anche e soprattutto alle infezioni correlate all’assistenza. In tale prospettiva la strada giusta da parcorrere non dovrebbe essere quella di privare i pazienti danneggiati dal giusto risarcimento e/o di ostacolare gli avvocati che li rappresentano e difendono, bensì sia quella di intervenire proficuamente in un settore che, alla luce dei dati sopra riportati, appare avere evidenti margini di miglioramento. Considerare le I.C.A. come mero rischio clinico generale gravante sul paziente e non come un grave difetto organizzativo della struttura, non ne comporterebbe l’eliminazione, ma ne implementerebbe
L'importanza della diagnosi e del trattamento precoce
Gli studi che hanno indagato la sopravvivenza e le morti per sepsi hanno riportato numeri leggermente diversi, ma sembra che in media circa il 30% dei pazienti con diagnosi di sepsi grave non sopravviva. Fino al 50% dei sopravvissuti soffre di sindrome post-sepsi. Fino a quando non verrà trovata una cura per la sepsi, la diagnosi precoce e il trattamento sono essenziali per la sopravvivenza e per limitare la disabilità dei sopravvissuti.
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