Il diritto di accesso ai documenti delle strutture sanitarie pubbliche

Il principio della trasparenza amministrativa ed il diritto di accesso

I soggetti della Pubblica Amministrazione sono chiamati ad un generale dovere di trasparenza, consistente nell’informare la loro attività ed organizzazione a principi che ne garantiscano la più ampia conoscibilità ed accessibilità esterna. Si parla in proposito di principio della trasparenza amministrativa, il quale è definibile come un risultato che si realizza nel momento in cui il destinatario (cittadino, utente) acquisisce la conoscenza delle informazioni utili.
Benché in Costituzione non si rinvenga un esplicito richiamo al principio in esame, la sua copertura costituzionale si ritrova, tuttavia, nel principio democratico e nei principi di imparzialità e di buon andamento posti dall’art. 97 Cost.
Per essere trasparenti, le istituzioni pubbliche devono esser conosciute, e deve esser conoscibile l’organizzazione ed i modi di svolgimento delle loro attività.
L’art. 1, comma 1, della legge sul procedimento amministrativo (l. n. 241/1990) ha previsto come l’attività amministrativa si sorregga anche sui principi di pubblicità e di trasparenza.
Gli artt. 22 e seguenti della l. n. 241/1990 disciplinano, in attuazione dei principi di trasparenza e pubblicità, l’accesso ai documenti.
L’art. 22, comma 2, della succitata legge stabilisce che: “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”.
L’art. 29, comma 2 - bis, della medesima fonte normativa individua poi nella garanzia dell’accesso un principio che attiene all’erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, di cui all’art. 117, secondo comma, lett. m) del¬la Costituzione, cui le amministrazioni del S.S.N. non possono derogare assicurando garanzie inferiori a quelle stabilite dagli artt. 22 e seguenti l. n. 241/1990.
Si può allora sostenere come con la legge n. 241 del 1990, per la prima volta le P.A. assunsero la conformazione di una “casa di vetro”, permeabile alla trasparenza, sebbene l’articolo citato consentisse il diritto di accesso ai documenti amministrativi con riferimento ai soli soggetti portatori di interesse diretto, concreto ed attuale (art. 22, comma 1, lett. b) l. n. 241/1990), qualora i documenti richiesti non fossero esclusi dal diritto di accesso (art. 24 l. n. 241/1990).
Il d.lgs. n. 33/2013 ha poi previsto - con finalità dichiarate di contrasto della corruzione e della cattiva amministrazione - specifici obblighi per la P.A. di pubblicazione di “documenti, informazioni o dati” concernenti: a) l’organizzazione e l’attività delle Pubbliche Amministrazioni (artt. 13 - 28); b) l’utilizzo delle risorse pubbliche (artt. 29 - 31); c) prestazioni offerte e servizi erogati (artt. 32 - 36); d) determinati “settori speciali” (artt. 37 - 42).
Il d.lgs. n. 33/2013 (art. 5) ha inoltre introdotto l’istituto dell’accesso civico a dati e documenti, stabilendo come chiunque possa richiedere alle amministrazioni documenti, informazioni o dati dalle medesime non pubblicate e ricadenti nelle succitate materie.
Presupposto dell’accesso civico è pertanto l’inadempimento della P.A. ad un proprio obbligo previsto dal d.lgs. n. 33/2013, nell’ottica di un controllo democratico sull’attività amministrativa.
Qualora la P.A. non assicuri la consultazione dei documenti previsti dal medesimo d.lgs. n. 33/2013, la generalità dei consociati può chiedere l’ostensione dell’atto non pubblicato: in ciò si sostanzia l’accesso civico ex art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33/2013.
Giova comunque evidenziare come l’accesso agli atti ex art. 22 e ss. l. n. 241/1990 abbia finalità e disciplina diversa rispetto all’accesso civico, e quindi, come le due previsioni non siano sovrapponibili.
Con il d.lgs. n. 33/2013 i muri della P.A. si sono così assottigliati, in quanto gli enti sono stati obbligati a pubblicare talune informazioni, consentendo a tutti i soggetti di potervi accedere e di poterne richiedere la pubblicazione in caso di mancato assolvimento.
L’art. 5 d.lgs. n. 33 del 2013 è stato successivamente modificato dall’art. 6, comma 1,  d.lgs. n. 97/2016 il quale, pur confermando l’ipotesi di accesso civico per i documenti rientranti nelle materie per le quali il d.lgs. n. 33/2013 prevedeva l’obbligo di pubblicazione da parte delle P.A., ha modificato il comma 2 dell’art. 5, , secondo quanto previsto dall’art. 5 - bis” al fine di “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”.
Con le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 97/2016 all’art. 5 d.lgs. n. 33/2013 il modello della “casa di vetro” può oramai dirsi superato, in quanto “chiunque” può accedere all’abitazione P.A.
La P.A. diventa dunque uno spazio comune, ove non vi sono limitazioni soggettive alla richiesta di accesso ai dati ed alle informazioni dalla stessa detenute, senza che debba esser fornita alcuna motivazione all’istanza ostensiva (art. 5 comma 3 d.lgs. n. 33/2013).
Tutto ciò, nei limiti previsti dall’art. 5 - bis, comma 1, d.lgs. n. 33/2013, che consente all’amministrazione di negare validamente l’accesso in presenza di determinati presupposti.

La trasparenza dei dati delle prestazioni sanitarie erogate

L’art. 4 comma 1 della l. n. 24/2017 stabilisce che: “Le prestazioni sanitarie erogate dalle strutture pubbliche e private sono soggette all’obbligo di trasparenza, nel rispetto del codice in materia di protezione dei dati persona¬li, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”
La norma succitata determina una correlazione tra il concetto di “trasparenza” ai dati contenuti nella documenta¬zione relativa all’attività clinica effettuata sui pazienti, predisposta in formato cartaceo (cartella clinica) nonché in archivi informatici (dossier sanitario elettronico, fascicolo sanitario elettronico).
A tal proposito, va evidenziato come la previsione normativa in esame im¬ponga il rispetto del d.lgs. n. 196/2003, con il quale è stato definitivamente introdotto nel nostro ordinamento il diritto alla protezione dei dati personali.
La documentazione clinica inerente “prestazioni sanitarie” può contenere diversi tipi di dati relativi al paziente, e segnatamente:
a) “dati personali”, qualificati dall’art. 4 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 196/2003 come “qualun¬que informazione relativa a persona fisica”, con definizione assimilabile a quella prevista dal Regolamento Europeo n. 679/2016;
b) “dati sensibili” dell’utente idonei a rivelarne “lo stato di salute”, i quali costituiscono un sottoinsieme dei “dati personali”, come confermato dall’art. 4 comma I n.15 Regolamento Europeo n. 679/2016.
E’ doveroso perciò domandarsi attraverso quali strumenti previsti in materia di accesso le amministrazioni sanitarie adempiano all’”obbligo di trasparenza” imposto dall’art. 4, l. n. 24/2017.
Dal quadro normativo emerge che le modalità per l’accesso ai dati contenuti nella documentazione clinica sono quelle regolate dagli artt. 22 e ss. l. n. 241/1990.
In tal senso, riguardo i trattamenti sanitari effettuati da soggetti pubblici, l’art. 59 del d.lgs. n. 196/2003 stabilisce che “Fatto salvo quanto pre¬visto dall’articolo 60, i presupposti, le modalità, i limiti per l’esercizio del diritto di accesso a documenti amministrativi contenenti dati personali, e la relativa tutela giurisdizionale, restano disciplinati dalla legge 7 agosto 1990, n. 241”.
La normativa italiana in tema di accesso ai documenti detenuti da sog¬getti pubblici non risulta, peraltro, intaccata dal Regolamento Europeo n. 679/2016, il quale fa salva la legislazione degli Stati Membri in tema di accesso ai dati personali contenuti in documenti ufficiali in possesso di un’autorità pubblica o di un organismo pubblico.

L'accesso alla cartella clinica in base all'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013

L’ipotesi di accesso prevista dall’art. 5, comma 1, d.lgs. n. 33/2013 non riguarda la documentazione sanitaria inerente il paziente: tale documentazione non è ricompresa tra i casi per cui l’art. 41 d.lgs citato stabilisce l’obbligo di pubblicazione in capo alle amministrazioni del Servizio Sanitario Nazionale.
Bisogna dunque verificare se possa ritenersi ammissibile l’ipotesi di accesso a documenti dell’amministrazione sanitaria relativi a dati personali e sensibili del paziente con le modalità di cui all’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 33/2013 che - come visto - consente l’accesso generalizzato a dati e documenti detenuti dalle P.A.
In tal senso, merita osservare che in esito alla dimissione del paziente dallo stato di degenza, le strutture sanitarie sono tenute a compilare la scheda di dimissione ospedaliera, parte integrante della cartella clinica, la quale contiene gli interventi (principali e secondari) effettuati.
Tali interventi vengono codificati secondo una specifica classificazione, a cui corrisponde l’attribuzione di un valore economico mediante il quale la Regione provvede a remunerare l’attività svolta dalle strutture sanitarie medesime.
Ebbene, gli interventi elencati nella scheda di dimissione del paziente potrebbero risultare non indicati rispetto allo stato clinico dello stesso, così come manifestatosi durante il periodo di ricovero; ad esempio, potrebbe accadere che sia stato inserito un intervento mai effettuato, ovvero che siano stati effettuati sul paziente interventi dei quali non vi era un’oggettiva necessità.
In tali ipotesi può ritenersi ammissibile la richiesta di accesso civico, in quanto essa sarebbe giustificata proprio dalla finalità, prevista dalla norma, di controllo del corretto utilizzo delle risorse pubbliche.
È tuttavia evidente come la richiesta di ostensione non potrebbe limitarsi alla singola cartella clinica, in quanto l’utilizzo delle risorse pubbliche non può essere valutato atomisticamente, con riferimento ad un solo documento.
Perché l’istanza d’accesso sia genuina e meritevole di accoglimento, dovrebbero allora essere oggetto di richiesta di ostensione tutte le cartelle cliniche detenute dall’amministrazione sanitaria con riferimento ad un determinato periodo temporale, cosicché il richiedente possa verificare come siano state impiegate le risorse pubbliche; potendo viceversa risultare la domanda di ac¬cesso alla singola cartella motivata da intenti strumentali od emulativi.
Nella ipotesi in cui la domanda si ritenga genuina, la P.A., potrà allora accogliere l’istanza mediante l’ostensione di dati anonimizzati, qualificandosi come tali quelli per cui è certa l’irreversibilità assoluta del processo di deidentificazione311.
Ciò in quanto l’interesse meritevole di riscontro di cui il soggetto istante è portatore può consistere unicamente in quello al controllo del buon andamento dell’ente sanitario (e dunque del corretto utilizzo delle risorse pubbliche) e non in già quello volto alla conoscenza dell’identità o dello stato di salute delle persone che sono state oggetto di trattamenti sanitari.
A conferma di quanto esposto dispone l’art. 5 - bis, comma 4, del d.lgs. n. 33 del 2013, a tenore del quale, qualora una parte del documento sia soggetta a limitazioni di ostensibilità (nel caso di specie, per l’interesse del privato alla protezione dei dati personali), “deve essere consentito l’accesso agli altri dati o alle altre parti”.

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